Sotto il segno della Speranza (nn. 7-8/2025)

Fabrizio Zago, Vicepresidente nazionale UCIIM

Si chiude un anno intenso, segnato ancora una volta dall’incrocio di sfide globali (dalle guerre alle crisi ambientali) e di piccoli, quotidiani miracoli educativi che abbiamo potuto toccare con mano nelle nostre scuole: giovani che riscoprono la gioia di stare insieme, docenti che si formano su metodologie nuove, famiglie che ritrovano nella comunità scolastica un porto sicuro; certo è questa la direzione della nostra UCIIM, che crede nella rinascita e nella Speranza, che non muore mai. «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14): le parole del Vangelo illuminano anche questo momento di bilancio e rilancio. Papa Francesco il 4 gennaio ha incontrato la nostra associazione insieme all’AGeSC e l’AIMC in Aula Paolo VI. In quella occasione, in cui alcuni di noi erano presenti, ha sottolineato l’importanza della Scuola come luogo di pace e ha condannato il bullismo, esortando a porre le basi per un Mondo più equo e fraterno. Il compianto Papa Francesco ha evidenziato l’importanza dell’educazione come missione della Chiesa e la necessità di un approccio basato su vicinanza, compassione e tenerezza. Ha invitato gli insegnanti ad amare particolarmente gli studenti «difficili», in condizioni di disagio, disabili e stranieri, sottolineando il ruolo della scuola come promotrice di pace e dialogo. In particolare, ha trattato temi come:

  • Educazione come missione eminente della Chiesa:
    Francesco ha spesso ribadito che l’educazione è un compito fondamentale della Chiesa, da svolgere con amore e dedizione. 
  • Il metodo cristiano di insegnamento:
    Vicinanza, compassione e tenerezza sono gli strumenti che Dio utilizza per insegnare, e gli educatori dovrebbero ispirarsi a questo metodo. 
  • L’importanza degli studenti in difficoltà:
    Il Papa ha sollecitato gli insegnanti a prestare particolare attenzione agli studenti che presentano fragilità, disagi o sono stranieri, considerandoli una sfida e un’opportunità per la scuola. 
  • La scuola come luogo di pace e non di guerra:
    Francesco ha condannato il bullismo e qualsiasi forma di violenza a scuola, esortando a creare un ambiente di pace e rispetto reciproco per tutta la comunità educante, preparando alla pace e alla solidarietà. 
  • La scuola come apertura alla realtà e alla speranza:
    Amare la scuola significa amarla perché è sinonimo di apertura alla realtà, alla ricchezza dei suoi aspetti e delle sue dimensioni. Il Papa invita gli insegnanti a «spalancare le porte» affinché gli studenti abbiano speranza. 
  • La testimonianza degli insegnanti:
    L’insegnamento non è solo un lavoro, ma una relazione in cui l’insegnante è chiamato a essere un testimone credibile di una umanità matura e completa, rinnovando la passione per l’Uomo. 

Spunti vari per ragionare e dibattere insieme

Le Nuove Indicazioni Nazionali 2025: un testo da conoscere e da battezzare
L’11 marzo scorso il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato la bozza delle Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo 2025, poi aggiornata l’11 giugno e trasmessa al CSPI per il parere consultivo, sicché il CSPI ha sollevato perplessità significative sulla disciplina della Storia, per esempio, definendo l’incipit del capitolo potenzialmente polarizzante e criticando un approccio che accentua la dimensione della disciplina come strumento per la costruzione di una identità nazionale più che come approccio tipicamente disciplinare. Eliminato completamente l’ambito della lettura e interpretazione delle fonti, elemento fondamentale dello studio storico, mentre vengono inseriti contenuti specifici come Piccola vedetta lombarda, i martiri del Belfiore, le 5 Giornate di Milano, Anita Garibaldi, Salvo d’Acquisto che il Consiglio considera contenuti e non conoscenze fondanti, inoltre da molte parti sono state indirizzate critiche a queste nuove Indicazioni, come, per esempio: il documento viene criticato per descrivere una «scuola ideale» che non tiene conto della complessità quotidiana, delle risorse limitate e delle sfide che i docenti affrontano. Le Nuove Indicazioni sono accusate di appiattire la complessità del reale, in particolare nelle discipline scientifiche, e di utilizzare un linguaggio troppo semplicistico. Si lamenta un eccessivo ritorno a percorsi chiusi e lineari, con una visione identitaria e «occidentalocentrica» della Storia, giudicata pericolosa per la formazione delle nuove generazioni. Diverse voci critiche hanno segnalato una tendenza a marginalizzare le differenze e a limitare la libertà di insegnamento, con un «modello» di maestro a cui uniformarsi piuttosto che un pluralismo di approcci. La coordinatrice della Commissione tecnica di riforma delle Nuove Indicazioni Nazionali, Loredana Perla ha precisato, quindi, con una lettera inviata a Orizzonte Scuola, che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione non ha richiesto modifiche radicali alle Nuove Indicazioni Nazionali, bensì integrazioni per rendere il testo più funzionale al contesto scolastico. Tuttavia, il CSPI, nel richiamare il concetto di «comunità», afferma che l’educazione non è esclusiva prerogativa della scuola e quindi non è «confinata alle aule scolastiche», così come si evince dal testo delle Indicazioni, ma è un processo che direttamente e indirettamente «coinvolge una vasta rete di attori e contesti» che contribuiscono al processo di crescita e formazione degli individui. Ancora il CSPI in merito al concetto di essere cittadini italiani, nell’esprimere il proprio parere, afferma che nel testo, sebbene sia esaltata la centralità della persona, il concetto di cittadinanza globale, risulta non sufficientemente sviluppato e addirittura si parla di cittadinanza collegata all’identità nazionale tralasciando il contesto nel quale locale e globale non hanno confini, per cui essere cittadini italiani è connesso all’essere cittadini d’Europa e del Mondo (da La Tecnica della Scuola, 30/06/2025 di Salvatore Pappalardo). Nel testo definitivo si introducono, quindi, due nuovi paragrafi: uno dedicato all’internazionalizzazione come dimensione trasversale del curricolo (con riferimenti a gemellaggi, CLIL, uso delle tecnologie per l’apprendimento collaborativo), e uno sull’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale come parte integrante dell’educazione civica e delle discipline STEM. Questi temi non compaiono nel primo documento. (da Orizzonte Scuola, del 7/7/2025). Il documento sostituirà, a partire dalle classi prime dell’a.s. 2026/27, le Indicazioni del 2012 e introduce correttivi sostanziali: ritorno esplicito alle conoscenze accanto alle competenze, riorganizzazione dei traguardi disciplina per disciplina, apertura ai temi di inclusione, cittadinanza digitale e sostenibilità. 

Un’antropologia personalista che interpella la scuola
Le Nuove Indicazioni 2025 riprendono la categoria di Persona – realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire io – riducendola, però, alla tradizione occidentale fra Atene, Roma e Gerusalemme. Al di là di considerazioni e polemiche che ha sollevato questo passaggio da più parti, l’invito ad abitare l’aula come luogo di nuovo umanesimo, dove l’educazione integra ragione, sentimento e cultura in cui la dimensione spirituale dell’alunno non è un accessorio, ma parte integrante dello sviluppo integrale della Persona. Proprio come punto di partenza delle riflessioni UCIIM vi è la centralità della Persona; quindi, è importante per chi opera nell’UCIIM, e direi nella Scuola più in generale, riconoscersi nei valori cristiani ed etici, che ci appartengono. La nostra volontà, le nostre attività si dirigono alla valorizzazione della Persona, che per noi educatori e insegnanti sono, in particolare, le nostre studentesse e i nostri studenti; ma, al contempo, siamo anche noi, docenti ed educatori, che abbiamo il desiderio di formarci e aggiornarci per rendere solida una proposta educativa che sia coerente con i nostri ideali, coi nostri valori, che possa, quindi, favorire una generazione di persone educate ai valori della condivisione, dell’ascolto e della comunità e al suo bene. 

Competenze digitali e Intelligenza Artificiale: tra entusiasmo e prudenza
Il tema più dibattuto è l’inclusione, nel curricolo di base, di pensiero computazionale, educazione ai dati e IA. Il CSPI, nel parere del 30 giugno, elogia le finalità ma chiede «chiarezza terminologica e una strategia organica» che eviti improvvisazioni, salvaguardi la centralità del docente e garantisca formazione continua.

Qui la tradizione educativa cattolica può offrire un prezioso discernimento etico: tecnologia sì, ma al servizio della persona, della giustizia e del bene comune. L’introduzione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) stanno rapidamente trasformando molti ambiti della società, così nella Scuola. Questo cambiamento porta con sé opportunità straordinarie, ma anche importanti domande etiche. Comprendere il rapporto tra IA, etica e scuola è fondamentale per promuovere un’educazione inclusiva, consapevole e al passo con i tempi.

IA nella Scuola italiana: opportunità e domande
In Italia, l’intelligenza artificiale sta entrando nel sistema educativo attraverso strumenti di apprendimento personalizzato, applicazioni per l’analisi dei dati scolastici e piattaforme di gestione didattica. L’IA offre la possibilità di adattare l’insegnamento ai bisogni individuali degli studenti, migliorando l’accesso all’educazione e l’inclusione. Ad esempio, gli algoritmi possono supportare studenti con difficoltà di apprendimento o disabilità attraverso software di assistenza e programmi personalizzati.

Tuttavia, l’introduzione di queste tecnologie solleva domande etiche rilevanti, come la protezione dei dati personali, l’equità di accesso alle risorse digitali e il rischio di dipendenza da strumenti tecnologici. Nelle scuole italiane, spesso caratterizzate da un divario tecnologico tra istituti, il rischio è che l’IA amplifichi le disuguaglianze già esistenti.

Questioni etiche: quali rischi?
Le questioni etiche legate all’IA nella scuola includono:

1. Privacy e protezione dei dati: Le piattaforme educative alimentate dall’IA raccolgono enormi quantità di dati sugli studenti. È essenziale garantire che questi dati siano gestiti in modo trasparente e sicuro, rispettando il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) dell’Unione Europea.

2. Bias e discriminazioni algoritmiche: Gli algoritmi di IA possono perpetuare o amplificare pregiudizi se non sono progettati correttamente. Ad esempio, un sistema di valutazione automatizzato potrebbe penalizzare inconsapevolmente studenti provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati.

3. Dipendenza dalla tecnologia: L’uso massiccio di strumenti digitali può ridurre la capacità critica e creativa degli studenti, se non accompagnato da un’educazione equilibrata che valorizzi anche il pensiero umano.

4. Ruolo degli insegnanti: L’IA non deve essere vista come una sostituta degli insegnanti, ma come uno strumento complementare. È essenziale evitare una «de-umanizzazione» dell’educazione e promuovere un modello che metta al centro il rapporto umano.

La Scuola ha un ruolo cruciale nell’educare le nuove generazioni non solo all’uso delle tecnologie, ma anche alla comprensione critica e consapevole dei loro impatti etici e sociali. Inserire l’etica dell’IA nei programmi scolastici potrebbe favorire lo sviluppo di cittadini consapevoli e responsabili, capaci di affrontare le sfide di una società sempre più digitale.

Tra le proposte concrete, si potrebbero introdurre:

  • Corsi dedicati al pensiero critico e all’etica digitale
  • Formazione specifica per gli insegnanti sull’uso responsabile delle tecnologie
  • Collaborazioni tra scuole, università, aziende tecnologiche e associazioni per sviluppare competenze avanzate sull’IA

Le nuove Linee Guida di Educazione Civica (D.M. 183/2024)

Già da quest’anno le nostre programmazioni dovranno integrare i tre nuclei indicati dal decreto Valditara: Costituzione, Sviluppo economico e sostenibilità e Cittadinanza digitale, per un totale di 33 ore annuali.

È un’impostazione che dialoga bene con la dottrina sociale della Chiesa: cura della casa comune, cultura del lavoro dignitoso, educazione alla legalità e alla pace, tuttavia non esente da problemi nel senso che diventa importante chiedersi in che modo le diverse scuole hanno valutato la competenza dell’Educazione civica durante l’anno e come sarà possibile, in sede di esame attraverso un colloquio, valutare le competenze maturate, definite dal curriculo d’istituto, laddove fosse presente.

La mia sensazione, niente di più, è che si potrà valutare l’Educazione civica, ma la stessa sarà una valutazione, nella maggioranza dei casi, sulle conoscenze; in questa direzione agirò anch’io, data la forma ancora ambigua dell’insegnamento dell’Educazione civica, che si sedimenta in una tradizione scolastica lontana dalla didattica per competenze; eppure, l’ordinanza ministeriale insiste a proposito di una valutazione delle competenze dichiarate e acquisite.

La forma ancora ambigua, come dicevo, è riferita non già alla legge e alle linee guida, tutto sommato buone, ma a un’attività che da molti colleghi è stata vissuta come aggiuntiva e calata dall’alto rispetto ai compiti già presenti.

La situazione attuale mostra una mancanza di continuità: il sistema scuola dovrebbe trovare una sintesi intorno a diversi stili di insegnamento, un’attenzione alla realtà scolastica, perché non si creino distanze tra norme e prassi didattica, tali da determinare una dissociazione dei docenti dai quadri di riferimenti normativi.

Infine, in una prospettiva di miglioramento, la produzione e la pubblicazione dei documenti della Scuola, dal RAV al PDM, dal Patto di Corresponsabilità al PTOF, devono rispondere alla reale attività prodotta dalle scuole ed essere oggetto di una frequente e attenta revisione e rispondere al continuo cambiamento delle effettive situazioni scolastiche. In caso contrario potrebbe succedere, e l’Educazione civica finirebbe per farne le spese, una eccessiva produzione documentaria nelle scuole non sempre aderente alle pratiche, dando origine al ritornello troppo noto: c’è troppa burocrazia nella scuola!

La burocrazia a cui si fa riferimento, spesso in senso negativo, consiste nella compilazione meccanica e vuota di carte sconnesse dalla realtà, mentre il mondo della scuola ha bisogno di strumenti e di impegno per migliorare la realtà con la partecipazione di tutti in vista del bene comune.

Tre riflessioni finali… e provvisorie

  1. Ecco, io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,5)
    Le riforme non sono mai neutrali: possono alimentare paura o generare speranza. Come educatori cristiani scegliamo la seconda via. Accogliamo con spirito critico e costruttivo le Indicazioni 2025, certi che «la carità educa» e che l’innovazione, abitata dallo Spirito, può diventare strumento di liberazione e di crescita per tutti i nostri ragazzi. Viviamo in un’epoca di incertezze: crisi ambientali, cambiamenti tecnologici rapidissimi, conflitti, nuove sfide educative e sociali. In questo contesto, la scuola rischia spesso di restare ancorata a vecchie logiche: programmi frammentati, nozioni scollegate dalla realtà, valutazioni più attente al «quanto» che al «come» e «perché». Educazione come perfezionamento della persona. Per Tommaso d’Aquino l’educazione è un processo di perfezionamento dell’uomo secondo la sua natura razionale. L’essere umano è dotato di intelligenza e volontà: educare significa aiutare l’uomo a sviluppare la sua ragione e a orientare la volontà al bene. L’educazione ha quindi una dimensione etica e spirituale, non solo intellettuale.
  2. L’educazione deve insegnare a vivere (Edgar Morin)
    Non si tratta solo di imparare date, formule o definizioni: si tratta di formare menti che sappiano pensare la complessità, che accettino il dubbio come parte del sapere, che sappiano collegare ciò che è separato. È per questo che Morin ci invita a «navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezze»: perché non viviamo in un mondo semplice, e la vera educazione è quella che prepara alla vita vera, non a un esercizio scolastico.
    Oggi più che mai, la scuola deve diventare un laboratorio di umanità, dove si coltivano conoscenze ma anche empatia, spirito critico, responsabilità e collaborazione. Dove l’errore non è una colpa, ma un’occasione per capire. Dove si insegna a pensare, a scegliere, a vivere insieme.
    Rimettere al centro questa idea di educazione significa anche dare senso al nostro ruolo, come docenti e come studenti: non semplici esecutori, ma costruttori di futuro.
  3. Non multa, sed multu (Quintiliano)
    In questa breve massima, Quintiliano ci offre un principio pedagogico che, a duemila anni di distanza, suona più attuale che mai. Viviamo in un tempo in cui la scuola è spesso pressata da programmi vastissimi, scadenze strette, e un’ansia diffusa di «finire tutto». Ma ci chiediamo abbastanza spesso cosa davvero resta negli studenti, una volta che il voto è assegnato e l’anno è finito?
    Non molte cose, ma profondamente ci invita a riscoprire la qualità dell’apprendimento. A privilegiare l’essenziale, a coltivare comprensione vera e duratura, piuttosto che accumulare nozioni frammentate. A fermarci dove serve, ad approfondire, a tornare indietro quando è necessario, senza paura di «rallentare».
    In un mondo dove tutto scorre veloce, educare profondamente significa anche offrire agli studenti un tempo diverso, un tempo per riflettere, per comprendere, per fare domande. Significa fare in modo che ciò che imparano diventi parte di loro, che si sedimenti e li trasformi. E per farlo, servono anche docenti che si autorizzano a scegliere, a selezionare, a dare peso e valore a ciò che conta. Non inseguire tutto, ma curare bene ciò che si sceglie di trasmettere.
    Questa è forse la vera sfida di oggi: non aggiungere, ma alleggerire per andare più a fondo. Perché la profondità è ciò che dà senso a ciò che facciamo.
    Rimettere al centro questa idea di educazione significa anche dare senso al nostro ruolo, come docenti: non semplici esecutori, ma costruttori di orizzonti, capaci di incidere e risuonare.

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